Ieri Irene mi ha raccontato dove e come ci vede tra 10 anni.

L'ha buttata lì, come se ci avesse pensato, ma non troppo. A me. Che rispondo con ansia alla domanda "dove ti vedi tra 2 anni?" ai colloqui.

Per me la normalità è fatta di piccole routine e no, non credo di essere una persona particolarmente noiosa: accetto e a volte apprezzo qualcosa che sfugga ai cicli, ma sapere che certi cicli ci sono mi rassicura. Il no-meeting Friday, le vacanze di Pasqua e quelle estive, ma anche il fatto che Lunedì, Giovedì e Venerdì porto io Marcello a scuola alle 8 per musica cadenzano la mia vita.

Pensare a cosa sarò, saremo, tra 5 o 10 anni mi impone di guardare oltre i cicli che riesco a riconoscere. 10 anni son un quarto della mia vita, metà della mia vita adulta, e non riesco a riconoscere i pattern.

Non ho memoria di quando facevo colazione, da bambino: da quando ho potuto scegliere ho smesso, per dormire più a lungo. So che non ho mai bevuto il latte, ma non ho altri ricordi. E per un po' non ho nemmeno pranzato, diciamo per 10 anni della mia vita? Risolvevo i miei fabbisogni alimentari a cena e il mio corpo sembrava gestire la cosa decentemente. Poi, 8 anni fa ho iniziato a pranzare: l'assenza di sonno causata dal secondogenito aveva reso il mio instabile equilibrio insostenibile.

Da 2 settimane faccio colazione e sebbene dubiti che nella profonda Emilia mi venisserro offerti salmone e yogurt greco, probabilmente c'è qualcosa di ciclico che non riesco ad afferrare.