cedmax

my little journey through myself

La better half odia essere chiamata better half, dice che questa cosa di essere metà di qualcosa non le suona giusto. Non ricordo i dettagli, che la mia memoria ha solchi profondi, ma in sostanza non le piace, ecco.

Le parole sono importanti

Quindi dovrei trovarle un altro soprannome, perchè i precedenti morosa difficile, morosa cattiva e morosa violenta poco si addicono al nostro attuale stato civile (e la parola moglie non mi piace, proprio per come suona, gl è proprio un suonaccio, diciamolo).

Peccato, perchè il respiro internazionale di better half è innegabile.

A proposito di respiro internazionale: ho provato a esportare un po’ di Emilia ruspante, spiegando ai miei colleghi il “C’at vègna un cancher”, ma diciamo che lo spirito con cui veniva detto non è facilmente esprimibile a un popolo la cui offesa peggiore è un modo volgare di dire vagina. Ok, molto volgare, ma comunque…

In ufficio, in compenso, i colleghi portoghesi e francesi stanno imparando imprecazioni e gestualità ed è molto divertente quando, seduti tra me e il mio amico/collega italiano e semi-alcolista, per prenderci in giro mimano le nostre conversazioni a distanza accompagnandole da saltuarie bestemmie con R improbabili.

Per il momento, comunque, mi sposto su my significant other, che le farà cagare comunque, ma almeno riafferma la sua individualità e rimuove la sensazione che lei fosse la metà migliore. So che in fondo in fondo era quello che le dava fastidio, me lo ricordo come se fosse ora.

Arsène

January 26 2015 - In: vita vissuta cedmax

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Stavo scrivendo un post lungo e articolato, giuro, ma mio figlio mi ha interrotto per raccontarmi la sua giornata.

Oggi aveva il secondo incontro legato all’Arsenal, in cui avrebbero fatto una sessione di allenamento con la classe.

E insomma, mentre scrivo, esce dalla sua stanza e

Mamma mi ha detto che posso farti vedere il poster di oggi. Ecco, c’erano questo e questo

indicando Szczesny e Arsene Wenger.

SP1173-ARSENAL-team-photo-14-15

Ora, magari sta prendendo una gloriosa cantonata, ma dubito e, fino a prova contraria, passerò il resto della serata a raccogliere i resti della mia mascella frantumata sul pavimento, vi prego di avere pazienza.

A volte penso che i miei figli in realtà siano come quelli del Villaggio dei dannati (il che spiegherebbe la loro bionditudine anche meglio delle foto di me e better half da piccoli), che conoscano i miei punti deboli e li sfruttino a loro piacimento.

killer_kids_week_04

Non è stato un weekend particolarmente intenso di per sè, ma entrambi hanno avuto i loro momenti e il grande, quando sbrocca, tende all’urlo e all’arroganza, cosa che mi fa chiudere più di una vena.

Io di conseguenza mi inasprisco nella mia inamovibilità, con conseguenti critiche della better half che mi vorrebbe più votato alla risoluzione, col solo risultato di farlo urlare di più.

Razionalmente so che ci sono tanti modi diversi per gestire la cosa e a volte riesco anche ad applicarli, ma quando ci sono le giornate storte per entrambi la casa diventa un po’ un campo di battaglia. Vivaddio i weekend così finiscono e il giorno dopo siamo tutti amici come prima, che credo sia la lezione migliore che posso portare a casa da mio figlio: ci si dorme sopra e il mattino dopo siamo bimbo e babbo, anche se la sera prima abbiamo sclerato entrambi.

Attention whore

Non mi piace citare dove lavoro, non l’ho mai fatto troppo (a parte nel periodo a Spreaker, ma perchè era una startup, c’era uno spirito pioneristico, mi sentivo parte di una stretta cerchia), soprattutto quando lavoro per ditte grosse, perchè non voglio che ci sia l’enfasi del “Wow, lavori a…”*.

Non che non ne sia fiero, o che non ne parli affatto, anzi, ci sono circostanze in cui lo cito, anche spontaneamente e con soddisfazione, ma il più delle volte c’è da cercare il mio linkedin per saperlo, soprattutto se mi si conosce solo online.

Farò un’eccezione per affermare un punto.

Ieri si è presentata negli uffici la BBC, per fare un pezzo sulla ditta. Ora, io non ci avrei manco pensato, ma è arrivata una mail chiedendo se qualcuno non volesse essere ripreso e mi è venuto naturale rispondere che, potendo scegliere, avrei preferito evitarlo.

Piccolo inciso: ho pochissime foto dei miei Natali da adolescente, perchè non volevo me ne si scattassero. Direi che ero il classico esempio di idiota da competizione: mio zio cercava di farmi le foto di nascosto e io, accorgendomene, mi coprivo o giravo.

Forse centra, forse no, ma insomma, in questo caso mi sembrava naturale.

In tutto questo si è presentata l’assistente personale del nostro presidente, ragazza un filo uptight, mentre guardavo questo (NSFW) (e per fortuna che ho le shortcut per spostare le finestre e l’ho coperto al volo con nonchalance), per assicurarsi che fossi a mio agio con la cosa, dicendo che mi avrebbe tenuto al corrente degli spostamenti del cameramen etc etc.. e a quel punto ho capito che non c’era molto di naturale in tutto ciò, che la mia antipatia per la videocamera anche sticazzi e che forse non ne valeva la pena, però ormai lei sembrava crederci molto e mi spiaceva dirle che poi, in fondo, faceva anche lo stesso.

Quindi ho seguito le sue indicazioni e mi sono spostato quando c’era da spostarsi.

Oggi, dopo che la cosa è andata in onda ieri sera, un mio collega mi ha poi chiesto perchè non volevo essere ripreso e francamente non ho saputo rispondergli; lui era convinto che mi piacesse stare sotto i riflettori, che “dai, parli alle conferenze anche per quello, per l’attenzione che ti danno”… e in un certo senso ha anche ragione, però c’è di più: non è tanto il riflettore quanto l’adrenalina. Essere sul palco, dai tempi del gruppo, mi ha sempre regalato botte di adrenalina, per via della paura, perchè in fondo non mi piace starci, mi piace il prima, mi piace il dopo, ma il mentre…

Però poco importa il perchè, sia che fosse attenscionwhorismo, sia la botta di adrenalina non sono le motivazioni giuste per portare un talk a una conferenza e forse è il tempo di ripensare se ha senso, per me e in questa fase, presentarmi a una call for paper, meglio il dietro le quinte.

Oh, se qualcuno si chiedesse come sono andati gli sforzi di Tutte: minuto 1 e 35 secondi

* Si, lo so che è uscito un articolo sul Fatto riguardo ai cervelli in fuga che raccontava la mia storia (credo di aver capito male cosa intendevano con cervello in fuga, quando mi hanno chiesto l’intervista), ma lì è spersonalizzato: solo un infinitesimo di quelli che l’hanno letto mi conoscono personalmente

I apologise [sic] | I may need this some day.

Cause I never feared consequences.
Hate regrets more than apologies. — Nofx

Chiedere scusa è una merda. Però ci sta.

La parte complessa non è tanto riconoscere di avere sbagliato, ma l’ammetterlo senza cercare attenuanti. “Scusa, ma…” è una delle cose di cui mi vergogno di più (non mi vergogno di molte cose, quasi niente a pensarci bene, ma questa sì, e mi ci è voluto tempo per arrivarci).

A farla breve, comunque, Better safe than sorry è una cazzata, ci sta tutto prendere un rischio e sbagliare, la differenza è come si affronta l’errore e le attenuanti devono dartele gli altri, non devi cercarle tu.

Dedicato alla better half, che ieri aveva ragione.