Quello che credo contrasta parecchio con la fortuna che ho avuto nell'incontrare alcune persone chiave. Proprio l'aver incontrato alcune persone chiave, però, data la miriade di lavori e lavoretti che ho svolto negli ultimi 20 anni, offre un quadro abbastanza chiaro del perché creda quel che credo.


Alcune delle relazioni personali più soddisfacenti della mia vita adulta sono inevitabilmente legate al lavoro: spendiamo metà della nostra vita a interfacciarci con colleghi 1 , e la possibilità di incontrare qualcuno che lasci il segno non è stupefacente. Infatti, è al lavoro che ho conosciuto due dei miei più cari amici – Luca e Rocco – e pur non vedendoli di frequente, non quanto vorrei, so che potranno sempre contare su di me e spero viceversa 2 .

In 20 anni, però, ho anche intessuto un sacco di rapporti amicali, anche molto stretti, con persone che poi ho perso di vista, vuoi perché l'hic et nunc era una condizione necessaria per il nostro rapporto, vuoi perché il rapporto stesso era fondato sul trauma.


I treat most of my coworkers like they’re my mom’s friend. I have very friendly and warm relationships with them, we know the broad strokes of each other’s lives, and we can even have jokey and fun conversations. But I don’t tell them about deeply personal or challenging things, I don’t share things that I wouldn’t want to be shared with anyone else, and I’m overall more thoughtful about the way I talk about things.

– girlie_pop

Anche se il punto di questo commento riguarda il gestire i livelli di trust, e nonostante condivida appieno il consiglio, per me c'è un aspetto leggermente diverso: le amicizie devono resistere al test del tempo, perché i posti di lavoro, spesso sono solo microcosmi emozionali.


Self-sufficent closed terrarium
Self-sufficent closed terrarium by Maud Bocquillod / Unsplash

No, non mi sono rincretinito 3  con delle corbellerie new age; quello che intendo è che ricreiamo volontariamente o meno esperienza di un range di emozioni e, tendenzialmente, lo facciamo a velocità decuplicata: formiamo rapporti, sviluppiamo simpatie e antipatie, creiamo drammi, ci dividamo in gruppi – noi vs loro, etc, tutto nella bolla del contesto lavorativo 4 .

E in più, nei contesti tossici, i legami "salutari" vengono spesso glorificati, perché il suddetto noi vs loro diventa raison d'etre delle relazioni e si associano le persone con cui si sta bene, con cui si condivide la pugna, a sacche di ossigeno in un ambiente altrimenti irrespirabile.

Non saprei dire quanti rapporti con persone che sentivo vicine si sono spenti dopo un paio di serate di gossip (o venting, a seconda di come la si guardi) quando uno dei due ha cambiato lavoro, ed è normale, perché ci si ritrova in altri terrari, con altri problemi, altre dinamiche, magari si è cambiata mansione e non si ha più molto da dirsi se non "ti ricordi di quella volta...".

Credo di aver sviluppato una visione più vicina a un concetto di partnership, che di amicizia: condividiamo un obiettivo e i disagi, proviamo a navigare l'ambiguità di detto microcosmo, e cerchiamo di sostenerci a vicenda date le nostre forze e debolezze. E forse è anche per quello che Irene continua a usare la formula "la tua nuova fidanzata", per ogni collega di riferimento attraverso le differenti aziende e ruoli 5 .


1. dannato capitalismo

2. AWWWWW

3. più di quanto fossi già

4. e questo è facilitato anche dal jargon che ogni luogo di lavoro sviluppa, dalle gerarchie esplicite ed implicite, etc: pur condividendo dei tratti comuni, ogni luogo di lavoro è davvero un microcosmo isolato e con regole tutte sue.

5. e se "partnership" vi fa pensare che debba essere una relazione 1:1 il problema siete voi, boomer: nell'era del poliamore dovreste allargare le vostre vedute e considerare che una partership può avere molte più sfaccettature 😅